Quale futuro per la Scozia?

Momento storico per gli scozzesi: la prossima settimana si decide per l’indipendenza. “Yes” in vantaggio

di Sara Gullace

1989294297Il prossimo 18 settembre 4 milioni di scozzesi andranno alle urne per rispondere ad un quesito epocale: “La Scozia, deve essere indipendente?”.

Che prevalga il YesVote del Partito Nazionale Scozzese (SNP) di Sir Salmond o che si confermi il BetterTogheter dell’antagonista labourista Darling, quest’autunno passerà comunque alla storia del Regno: dopo 307 anni di indipendenza, la Scozia, seconda nazione del regno per dimensioni e densità, avrà ad ogni modo formulato un’ipotesi alternativa per la propria storia.

Dopo un decennio di negoziati con Londra, nell’ottobre 2012 il SNP conseguì l’accordo con il Premier Cameron per indire un referendum nazionale. Adesso è il momento della verità: se fino a questa primavera gli unionisti erano in netto vantaggio nei sondaggi, gli ultimi dati, presentati da YouGov, ribaltano la situazione. Gli indipendentisti sono al 51%.

Dubbi e timori sorgono per quei “temi caldi” che rappresentano un nodo relazionale tra la Scozia ed il resto del Regno e che comportano un suo posizionamento con l’Unione Europea ed il panorama internazionale. Salmond, che durante la campagna si è mantenuto molto ottimista, rassicura i connazionali della fattibilità degli elementi chiave del suo programma

Quale moneta adotterà la Scozia? L’idea di partenza sarebbe mantenere la sterlina: avendo ricevuto una risposta da Londra tutt’altro che scontata, una soluzione alternativa sembra poter essere una moneta fluttuante o un nuovo conio. Data l’incertezza, è proprio la valuta l’elemento più “debole” e preoccupante. Se la Scozia diventerà indipendente, comunque, non ci sarà un avvicinamento all’eurozona anche se rimarrà membro dell’UE. La Regina Elisabetta II resterà in carica come Capo di Stato e la Banca Nazionale d’Inghilterra come primo Istituto di prestito.

Ci sarà, invece, un graduale abbandono di armi e missili nucleari. Così come verrebbe istituito un esercito nazionale. Dalla proprio uscita dal Regno, la Scozia presuppone di riuscire a risparmiare 119 mila milioni di euro. La prospettiva è rosea anche per quanto riguarda salari, pensioni e stato sociale: aumento per pensioni, maggiori servizi pubblici per la prima infanzia ed uno stipendio proporzionale al costo della vita. Soprattutto, Salmond ha tenuto a tranquillizzare l’elettorato sulla pressione fiscale. Non ci sarà un aumento delle tasse.

Cosa succederà se tra 7 giorni vincerà il si? La Scozia diventerebbe indipendente il 16 Marzo 2016 e voterebbe il primo Parlamento Scozzese nel maggio successivo. Prima del “Independence Day”, ci sarà spazio per lunghi e decisivi negoziati.

Per gli indipendentisti, è arrivato il momento di costruire un’identità autonoma. Un nuovo modello di stato più sociale e progressista, che rompa con l’influenza dei governi di destra e del partito conservatore che deriva dall’appartenenza al Regno, e soprattutto dall’Inghilterra.

Per Alex Salmond: “È arrivato il momento di mettere in piedi uno Stato più prospero ed una società più equa. Vogliamo una crescita economica più veloce che permetta maggiori opportunità di lavoro, 27mila posti di lavoro in più, e la possibilità di creare nuove politiche sociali e fiscali“. Questa è stata la sua arringa in una delle ultime uscite mediatiche. Presenze mediatiche, tra l’altro, ben riuscite, vista la crescita dei si di cui dicevamo prima. “L’indipendenza – ha tenuto a precisare – non è una questione di parti politiche. Non riguarda la vittoria del SNP. Si tratta del diritto degli scozzesi ad un proprio governo ed a proprie elezioni“.

ll fronte del no, bettertogheter, portato avanti da Alister Darling, ex ministro labour delle Finanze, ha fatto forza sui rischi economici e politici che potrebbe rappresentare una separazione. Per la Scozia, si tratterebbe di abbandonare un mercato di importazioni ed esportazioni stabile e maturo; così come affrontare in modi individuale i rapporti con l’UE, la Nato o le Nazioni Unite.

Una sfida che non sembra preoccupare gli indipendentisti, convinti che neanche Londra avrebbe interesse ad allentare i rapporti di scambio con la Scozia. Un ottimismo abbastanza realista: a poche ore dal “sorpasso” del fronte del si, infatti, Londra ha risposto promettendo una maggiore autonomia in materia fiscale, di spesa e pubblica e welfare in caso di voto contrario all’indipendenza.

Intanto, super partes, l’indipendente Istituto di Studi Fiscali ha concluso che, a fronte di un’imminente indipendenza, Regno Unito e Scozia dovrebbero rivedere entrambi la spesa pubblica: di un 1,9% il paese uscente e di uno 0,8% il resto del Regno.

E il Regno, sta a guardare? La prima reazione ai proclami di indipendenza era stata piuttosto sicura di se: Cameron aveva sottolineato quanto siano forti e riusciti i rapporti economici tra la parti, in grado di creare e mantenere più di un milione di posti di lavoro e quanto il mercato britannico sia il principale referente della Scozia. Aveva, poi, giocato la carta del sentimentalismo, facendo appello alla storia del Regno, all’identità condivisa, incitando inglesi, gallesi e irlandesi del nord a chiedere ai riottosi fratelli di “non lasciarci” per il bene del regno tutto e della Scozia in primis.

Questo, fino a quel fatidico 51% di Yes e conseguente scesa della sterlina sul mercato internazionale. Nelle ore successive Londra ha firmato una Maxi Devolution su fisco, spesa e welfare di incoraggiamento alla permanenza. E ha annunciato l’arrivo del secondo royal baby.