David Bowie, la perfetta messa in scena di una dipartita

Il nostro giornale inaugura “Cut your Music”, blog di musica a trecentosessanta gradi, con un tributo a David Bowie, scomparso lo scorso 10 gennaio

di Marta Pezzino

david-bowie-lazarusAvete mai provato ad immaginare come sarebbe assistere al vostro funerale? Non siete curiosi di sapere cosa resterà di voi dopo la vostra dipartita? Potreste vedere chi davvero vi vuol bene, chi si dispera, chi vi compiange e chi invece no, è lì solo per fare la mera parte. Potreste sentire quello che dicono di voi, cosa la gente davvero ricorda di ciò che avete fatto in vita, cosa realmente rimane del vostro operato su questa terra.

Mi chiamo David Robert Jones e mi piace mettere in scena la mia morte. La prima volta che l’ho fatto è stato nel luglio del 1973, quando mi facevo chiamare Ziggy Stardust, giravo il mondo con gli Spiders From Mars e ogni nostro concerto era un evento mediatico. Ma quella sera all’Hammersmith Odeon di Londra decisi che doveva essere l’ultima. In sala c’erano anche Lou Reed, Mick Jagger e Ringo Starr. Ospite sul palco Jeff Beck. Il tour non era neanche a metà, c’erano ancora altre trenta date programmate in giro per il pianeta Terra, ma ad un certo punto fermai la musica e dissi che Ziggy Stardust sarebbe morto. Il pubblico ammutolì. Subito dopo partì RocknRoll Suicide. Ziggy Stardust scomparve per sempre.

Sono morto altre volte nel corso della mia esistenza, ma la prima non si scorda mai. E neanche l’ultima, che è avvenuta solo qualche giorno fa.

Ho compiuto 69 anni l’8 gennaio del 2016, stesso giorno in cui ho fatto uscire il mio ultimo disco, Blackstar, che si legge Blackstar ma si scrive con una piccola stella nera (★).

Blackstar è anche il nome del singolo che anticipava l’album, in cui disseminavo già indizi sulla mia futura dipartita. I più attenti se ne saranno accorti, anche se c’è chi ha letto oscuri presagi già nel mio precedente album The Next Day… Ma Blackstar è un pezzo folle, jazz, prog, glam, sperimentale, antiradiofonico, paranoico, lungo quasi 10 minuti e solo i più temerari avranno avuto forza e costanza di decifrarlo.

Sono stato bravo. Ho fatto circolare voci su una mia presunta malattia, presto smentite e poi riconfermate. C’è chi ha detto che ho avuto ben sei attacchi di cuore durante la lavorazione del disco e questo non ha fatto altro che acuire la morbosa curiosità del pubblico. Ma l’indizio più importante sulla mia morte l’ho dato il 18 dicembre, giorno in cui è uscito il secondo singolo dell’album, Lazarus. E nel titolo stesso direi che ho inserito anche un’indizio sulla mia futura resurrezione, ma questo è un altro discorso.


Guarda quassù, sono in paradiso
Ho delle cicatrici che non possono essere viste
Ho una storia che non può essermi rubata
Ora tutti lo sanno
Guarda quassù, amico, sono in pericolo
Non ho nulla da perdere

david-bowieQuesti sono solo alcuni dei versi presenti il Lazarus, rinchiusi in una melodia noise-rock che ammicca al blues con toni decisamente oscuri. Ma nessuno, fino al 10 gennaio, giorno in cui ho deciso di morire, aveva capito che questo era il mio testamento.

Tutto il disco è l’eredità che lascio in dono a questo pianeta; difficile da capire adesso, vi ci vorrà un po’, forse anni per comprenderne appieno il significato. Potrei parlavi delle trombe che ho usato come urla di liberazione, ricorrenti in tutte le tracce dell’album che fanno da unico filo conduttore. Ci ho messo la malinconia che da sempre mi contraddistingue, come nella ballata Dollar Days, l’elettronica che più mi ha affascinato in I Can’t Give Everything Away; e in Tis a Pity She Was a Whore, non manca quel sano e vecchio rock velato di pop che tanto piace a voi terrestri.

Ho deciso di morire due giorni dopo il mio compleanno, due giorni dopo l’uscita del mio disco. 69 anni trascorsi su questa Terra. 27 album in studio. 20 film. 12 documentari. 1 Golden Globes. 6 Grammy Awards. 2 mogli. 2 figli. Infinite collaborazioni. Tante vite vissute. Troppi ricordi da portare con me. Direi che per il momento può bastare. O forse no…

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